Gli encoder capacitivi o induttivi possono sembrare, a prima vista, molto simili e gli aspetti che li differenziano possano apparire confusi. Entrambi utilizzano una tecnica di non contatto per la misurazione della posizione, e entrambi possono essere costruiti impiegando circuiti stampati. Tuttavia i principi fisici su cui si basano sono piuttosto diversi. Questo articolo spiega queste diversità confrontandone i lati positivi e negativi che entrambe le soluzioni presentano.
Sensori Capacitivi – Principio di funzionamento
La scoperta della possibilità di immagazzinare grosse quantità di energia elettrica, è da attribuire allo scienziato Ewald George von Kleist, inventore del primo condensatore. Questo componente è formato da due piastre (o facce) conduttive separate da un materiale dielettrico, tipicamente aria, plastica o ceramica. Un semplice modello matematico del condensatore è mostrato in Figura 1.
Figura 1 - Un condensatore semplice
La permittività elettrica Ԑ, ovvero la quantità di energia elettrica trattenuta da un materiale non conduttore sottoposto ad un campo elettrico, è costituita da due parti Ԑr e Ԑ0 dove Ԑr è la permittività statica relativa (anche chiamata costante dielettrica) del materiale tra le due piastre, Ԑ0 la permittività statica nel vuoto. (Ԑ0 = 8.854E-22 F/m).
Il principio capacitivo è utilizzato in dispositivi quali telefoni, tablet, cellulari che impiegano la tecnologia touch screen, ovvero rilevano la presenza o l’assenza di un dito grazie alla variazione della costante dielettrica Ԑr che va a cambiare la capacità.
Una seconda applicazione è rappresentata dal sensore capacitivo di spostamento ovvero una riga lineare capacitiva o un encoder capacitivo rotativo; questi sensori lavorano sulla variazione di capacità tra le facce del condensatore. Come si può notare dalla Figura 1 la capacità varia in proporzione alla distanza tra le facce (d) e all’area di sovrapposizione (A). Lo spostamento può essere misurato assialmente variando d, oppure in direzione planare variando l’area di sovrapposizione A. Le facce del condensatore possono essere costruite impiegando circuiti stampati, il che permette un notevole vantaggio in termini economici. Per memorizzare qualsiasi quantità significativa di carica la dimensione d deve essere piccola rispetto all’area delle piastre. Solitamente d è 1 mm. I sensori capacitivi lineari o rotativi, sono costruiti in modo tale che lo spostamento provochi una variazione in A o in d. In altre parole una faccia è sull’elemento mobile del sensore mentre l’altra faccia è sull’elemento fisso. Mentre i 2 elementi si spostano tra loro si ha una variazione della superficie capacità C del condensatore.
Purtroppo la capacità è anche influenzata da fattori diversi dallo spostamento. Se il materiale dielettrico è circondato da aria, la sua permittività varia sia con la temperatura sia con la presenza di umidità, infatti l’acqua ha una diversa costante dielettrica rispetto all’aria; cambiando la permittività cambia di conseguenza la capacità. A meno che il materiale dielettrico non venga sigillato, i sensori capacitivi non sono adatti a lavorare in ambienti con sbalzi termici elevati o con probabilità di condensazione e/o variazioni di umidità. La necessità intrinseca di avere una distanza tra le facce del sensore molto contenuta rispetto alle dimensioni delle facce stesse, comporta una grande precisione meccanica per l’installazione. Questo fattore implica un aumento notevole del costo di installazione; Oltretutto si dovrà tenere contro anche dell’espansione termica e dell’influenza che possono avere eventuali derivanti dalla struttura esterna al sensore che avranno ripercussioni sulla distanza tra e facce del condensatore e causando una distorsione della misura.
Inoltre l’effetto capacitivo si basa sulla conservazione della carica elettrica nel condensatore. Se il sistema attorno al sensore genera cariche elettrostaiche, queste possono influenzare negativamente la misurazione. In casi estremi il sensore non funziono affatto o, peggio ancora, il disturbo elettrostatico genererà una misurazione credibile ma errata. La messa a terra del sistema meccanico su cui viene installato il sensore, può essere una soluzione ed è indispensabile per i sensori angolari capacitivi in cui l’albero rotante genera cariche statiche derivanti dal rotolamento dei cuscinetti, dagli ingranaggi o dalle pulegge.
Sensori induttivi – Principio di funzionamento
Nel 1831, Michael Faraday, scoprì che una corrente alternata che percorre un conduttore può indurre una corrente in senso opposto in un secondo conduttore affiancato al primo. Questo principio di induzione viene ampliamente usato come base di misura della posizione e della velocità nei resolver, nei synchro e negli LVDT. La teoria di base può essere spiegata considerando 2 avvolgimenti, uno definito trasmettitore (Tx) a quale si applica una corrente alternata, ed il secondo che funge da ricevitore (Rx) nel quale viene indotta una corrente:
Figura 2 - Principio induzione di Faraday
La tensione nell’avvolgimento di ricezione è funzione dell’area delle bobine, della geometria della distanza tra le due. Tuttavia, come con i sensori capacitivi, anche per i sensori induttivi diversi fattori possono influenzare il comportamento delle bobine. La temperatura è uno di questi, ma può essere eliminato semplicemente impiegando più bobine di ricezione e calcolando la posizione dal differenziale tra i segnali ricevuti (come in un trasformatore differenziale). Di conseguenza se la temperatura cambia, l’effetto viene annullato poiché il differenziale tra i segnali ricevuti è inalterato per una data posizione.
A differenza dei sistemi con tecnologia capacitiva, quelli con tecnologia induttiva sono meno influenzati dagli agenti esterni come acqua e particelle. Poiché le bobine possono essere distanziate in modo rilevante, la precisione meccanica per l’installazione è meno importante e i due elementi, quello fisso e quello mobile hanno tolleranze di montaggio abbastanza elevate. Ciò aiuta a ridurre i costi di installazione e permette l’incapsulamento dei componenti permettendo ai sensori di resistere a sollecitazioni esterne come vibrazioni, essere immune a sostanze gassose o presenza di polvere.
I sensori induttivi forniscono una soluzione ottimale per quelle applicazioni che prevedono un alloggiamento in ambienti particolari tipici delle applicazioni per la difesa, aerospaziale e nell’industria petrolifere.
Uno dei maggiori inconvenienti dei sensori induttivi è che per la costruzione impiegano delle bobine di ferrite che devono essere costruite con particolare accuratezza per ottenere una misurazione precisa della posizione. Un numero significativo di bobine deve essere impiegato per ottenere un segnale elettrico stabile e questo li rende ingombranti, pesanti e costosi.
Si pensa che i sensori induttivi siano particolarmente sensibili a disturbi elettromagnetici ma l’impiego, con successo, dei resolver come elemento adatto per pilotare la commutazione e controllare la velocità dei motori smentisce completamente questa teoria. Sia i resolver che gli LVDT sono la soluzione per applicazioni aerospaziali o civili già da molti anni.
Un differente approccio ai sensori induttivi
Un approccio diverso ai sensori induttivi è quello di impiegare una tecnologia di stampa laminare per la realizzazione delle bobine anziché impiegare le bobine in ferrite, ed è la soluzione impiegata da Zettlex. Questo comporta che gli avvolgimenti possono essere prodotti in rame inciso o stampato su differenti varietà di pellicole in poliestere o carta oppure laminati su ceramica. In questo modo si realizzano avvolgimenti molto precisi raggiungendo una prestazione di misura molto maggiore a costi contenuti, peso degli avvolgimenti contenuto pur mantenendo inalterata la robustezza.
Figura 3 - Esempio di un Sensore a Induzione sporco ma perfettamente funzionante con circuiti stampati multistrato
Gli IncOder Zettlex sono dispositivi senza contatto tra i due elementi principali, ciascuno a forma di anello. L’ampio foro rende più facile il montaggio su alberi passanti, su collettori rotanti, fibre ottiche, tubi e cavi. IncOrder non richiedono un montaggio meccanico con alte tolleranze, il rotore e lo statore possono facilmente essere avvitati alle parti meccaniche della macchina. La misurazione non viene influenzata da elementi esterni e sono ideali per ambienti difficili in cui i dispositivi capacitivi potrebbero risultare inaffidabili.
In conclusione
I benefici dei tre differenti sensori sono indicati nella tabella sottostante. Si può notare che dei tre sistemi quello con approccio induttivo non tradizionale, impiegato da Zettlex, è quello che elenca il maggior numero di vantaggi.
Generalmente quando si parla di Motion Control si pensa a sistemi ad alta velocità con rapidi cambiamenti di direzione. Poter controllare il moto in queste condizioni comporta sicuramente delle notevoli sfide tecniche; sfide tecniche che si presentano quando si vogliano controllare movimenti a bassissima velocità tipica ad esempio per telescopi o sistemi di puntamento, telecamere a circuito chiuso e in genere nei sistemi di sorveglianza. Questa sessione esamina le problematiche derivanti da un sistema a velocità ultra lenta sia dal punto di vista del sensore di posizione o di velocità, sia da parte del controllore di moto.
Considerando una telecamera mobile PTZ (Pan/Tilt/Zoom) a brandeggio, comunemente chiamata “Gimbal System” per video sorveglianza verso le frontiere, non è raro doversi concentrare su oggetti distanti anche 20 Km dalla telecamera. Quando l’oggetto si muove diventa complesso poterlo seguire perché il campo visivo è molto ristretto e l’obbiettivo può scomparire rapidamente.
Se l’obbiettivo si muove a 20 Km/ora ad una distanza di 20 Km la telecamera dovrà ruotare a 0,05 RPM, velocità decisamente bassa. Per poter tenere l’obbiettivo all’interno dell’area visibile e centrato rispetto all’area stessa, bisogna controllare accuratamente questa bassissima velocità ed essere rapidi a seguirne i cambiamenti di direzione. Diventa indispensabile impiegare encoder con risoluzione da 18 a 22 bit con risoluzioni pari 4194304 counts/giro, tali da garantire comunque dei movimenti omogenei anche a bassissime velocità.
L’approccio tradizionale è quello di utilizzare un encoder sul motore accoppiato ad un riduttore. Maggiore è il rapporto di riduzione maggiore sarà la risoluzione dell’encoder vista dal controllo, proporzionalmente il sistema complessivo avrà minore dinamica e reattività, oltre ad inserire inevitabilmente giochi meccanici. Tutto questo porta all’impossibilità di seguire oggetti in movimento, se non quelli posti ad una distanza non elevata. L’alternativa e di utilizzare un encoder ad alta risoluzione direttamente sull’albero di uscita del riduttore per la chiusura del loop di posizione, contemporaneamente a quello posto sul motore responsabile del loop di velocità; il tipo di controllo viene definito dual-loop e garantisce che il backlash del riduttore vengano eliminati ottenendo un sistema altamente dinamico. Questo approccio viene impiegato grazie allo sviluppo avvenuto nei sensori di posizione, ora disponibili, ad alta risoluzione accompagnato allo sviluppo di Motion Control altamente performanti.
Encoder tradizionali ad alta risoluzione
Tradizionalmente quando si parla di encoder ad alta risoluzione, ovvero superiori a 18 bit equivalenti a 1000000 di counts/giro, si individuano soluzioni con resolver, encoder ottici o capacitivi. I resolver di alta risoluzione sono notoriamente costosi e possono presentare problemi ingegneristici a causa degli ingombri, del peso e delle tolleranze meccaniche di montaggio, molto stringenti. Gli encoder ottici o capacitivi ad anello sono altrettanto costosi e richiedo meccaniche di precisione per essere impiegati. A differenza dei resolver, che sono molto robusti, gli encoder ottici sono molto sensibili alle vibrazioni e agli urti impiegando dischi di vetro, inoltre la temperatura di esercizio è molto limitata. Sia le versioni ottiche che capacitive soffrono di problemi di affidabilità in presenza di polvere o condensa. I sensori ottici di alta risoluzione, impiegando dischi di vetro incisi, sono particolarmente sensibili a corpi estranei.
Encoder induttivi di nuova generazione
Le tradizionali tecniche per raggiungere alte risoluzioni hanno delle limitazioni, la richiesta di soluzioni innovative è sempre più pressante. Una risposta a queste richieste viene con la nuova generazione di encoder induttivi che offrono risoluzioni sino a 4 milioni di conteggi per giro (22 bit). Gli encoder induttivi, a volte definiti col termine “incOders”, presentano la stessa robustezza meccanica dei resolver, offrono alte risoluzioni senza parti in contatto, possono lavorare in ambienti sporchi essendo immuni a polveri o a corpi estranei e, in fine, possono lavorare in presenza di liquidi o di condensa; sono la soluzione per i progettisti per encoder che debbano lavorare in ambienti difficili, senza doversi occupare di chiuderli in contenitori stagni come invece è necessario se si impiegano encoder ottici o capacitivi. Questi nuovi sensori di posizione possono facilmente essere impiegati con i controlli di nuova generazione Galil. Tempi di campionamento inferiori a 100µsec permettono di controllare in modo ottimale motori che ruotano a bassissime velocità e, grazie alla banda passante di 20 MHz, si possono ottenere contemporaneamente un ottimo sistema anche a velocità elevate. L’integrazione del controllo “dual loop” e particolari filtri antirisonanti agevolano una messa in funzione rapida ed efficace.
Parlare al giorno d’oggi di motori diretti, o direct drive, è in molti settori dell’automazione industriale una tecnologia assodata mentre questa tipologia di motorizzazioni trova sempre più ampio impiego anche in campi fino ad oggi riservati a sistemi più tradizionali. Questo articolo confronta le possibili soluzioni cercandone i vantaggi e i punti critici.
Terminologia
Teoricamente il termine motore diretto o direct drive può essere applicato a qualsiasi motore a cui venga applicato direttamente il carico senza altri elementi di trasmissione quali ingranaggi, pulegge, catene, riduttori. Solitamente si riferisce all’impiego di motori sincroni a magneti permanenti brushless, che trasmettono direttamente la loro coppia al carico. Spesso si sviluppano lungo il diametro, contenendone contemporaneamente l’altezza e caratterizzati da un foro passante. Vengono individuati come motori coppia e sviluppano una coppia costante a tutte le velocità, sino alla nominale.
Come funziona un direct drive?
I motori diretti funzionano in modo simile ai motori brushless. I magneti sono collegati al rotore mentre gli avvolgimenti sono disposti sullo statore del motore. Quando gli avvolgimenti sono energizzati, producono un campo magnetico che attira o respinge i magneti del rotore provocandone una rotazione controllata. Esistono sia direct drive rotativi che lineari.
I motori diretti hanno solitamente un numero elevato di poli (>20 e talvolta > 100); sono disponibili motori torque da 1 mt di diametro, in grado di produrre coppie sino a 10 KNm. Molti si presentano come frameless ovvero senza alloggiamento e senza cuscinetti e sensore di retroazione. Questo permette ai costruttori di macchine, o agli integratori, di semplificare la loro struttura di alloggiamento, di dimensionare in proprio l’albero e i cuscinetti ottimizzandone la forma, le dimensioni, il peso e le prestazioni dinamiche.
Il rapporto coppia/inerzia è più elevato rispetto ai tradizionali motori brushless, inoltre presentano una bassa costante elettrica. Ciò significa che la coppia viene applicata rapidamente quando si applica tensione raggiungendo un’ottima rigidità del sistema. I motori tradizionali sono progettati per generare coppia massima a velocità elevate, tipicamente oltre 1000 RPM, e dimensionati sulla potenza nominale. I motori torque sono invece normalmente dimensionati sulla coppia massima e continua anziché sulla potenza.
Pro e contro
I maggiori vantaggi dell’impiego di motori diretti sono:
Elevata prestazione dinamica e accuratezza nel controllo della posizione e della velocità
Assenza di giochi e usura
Elevata affidabilità: non essendoci parti meccaniche come ingranaggi, pulegge, guarnizioni, cuscinetti
Compattezza: sviluppandosi sul diametro hanno un’altezza minore e dispongono di un foro centrale
Altro rapporto coppia/inerzia e altro rapporto tra coppia e massa del motore diretto
Basso ripple (cogging) di coppia
Alta coppia a bassi giri
Alta efficienza energetica: dovuta alla mancanza di elementi meccanici aggiuntivi
Bassa rumorosità e basse vibrazioni autoindotte
Assenza di manutenzione.
Bassi consumi per raffreddamento: vista la geometria meccanica particolarmente favorevole
Traferro relativamente grande: con buona resistenza agli urti e ottima soluzione in ambienti polverosi
Le ragioni che spingono un progettista a scegliere un motore diretto sono le possibili prestazioni ottenibili e una maggiore dinamica rispetto a soluzioni tradizionali. Soprattutto disporre di un foro passante è una soluzione per fare passare collettori elettrici, tubi pneumatici, cavi elettrici.
Lo svantaggio principale è spesso più percepito che reale; i direct drive sono a volte considerati più costosi dei motori tradizionali. Spesso è vero se paragoniamo semplicemente il costo delle motorizzazioni ma, una più attenta e ampia valutazione che tenga conto delle parti meccaniche che vengono eleminate, della semplificazione meccanica complessiva, della riduzione di manutenzione ne fanno, anche economicamente, una soluzione vincente. Inoltre il costo dei motori diretti sta gradualmente diminuendo, anche grazie alla disponibilità di magneti al neodimio ferro boro (Nd-Fe-B) più potenti e all’aumento esponenziale avuto nell’utilizzo di queste motorizzazioni. Un esempio tipico lo troviamo in applicazioni molto sensibili ai costi come le lavatrici in cui i motori tradizionali stanno per essere soppiantati dall’impiego di motori torque, eliminando cinghie e pulegge, rendendo la trasmissione del moto più silenziosa e affidabile. Le maggiori applicazioni di motorizzazioni dirette si possono trovare nelle macchine utensili CNC, nei sistemi di confezionamento, nella robotica, nei sistemi radar, in ambito militare, nelle telecomunicazioni, nelle tavole rotanti, nei telescopi. La gamma è sempre più ampia ed è prevedibile un ulteriore ampliamento nel prossimo futuro.
La maggior parte dei motori tradizionali presenta intrinsecamente un forte cogging di coppia ma, vista l’elevata velocità di esercizio, questo effetto risulta nella maggioranza dei casi irrilevante sulle prestazioni finali. I direct drive possono soffrire di questo inconveniente in modo più accentuato a meno di impiegare dei feedback con maggiore risoluzione. È sicuramente uno dei punti che ha rallentato l’impiego di queste nuove motorizzazioni, dovendo impiegare dei controlli più sofisticati per il comando degli stessi.
Ma anche nel campo dei controllori sono stati fatti notevoli implementazioni arrivando a tempi di campionamento maggiori di 4 KHz a costi accessibili.
Uno dei maggiori vantaggi dei motori torque è la trasmissione diretta e una maggiore precisione nel posizionamento, nel controllo della velocità e della dinamica. Invece di collegare il carico con un giunto, con catene o cinghie, con ingranaggi o pulegge un motore diretto si flangia al carico; non ci sono isteresi, giochi, movimenti persi qualsiasi sia la direzione del posizionamento. Ma questi vantaggi sono possibili solo in presenza di un dispositivo di retroazione ad alta risoluzione. I sensori di Hall, tipicamente impiegati per la commutazione di potenza, non offrono prestazioni adatte per consentire un posizionamento preciso e un adeguato controllo della velocità.
Se il foro del motore diretto è sufficientemente piccolo, inferiore a 50 mm, vi è un’ampia gamma di feedback basati su tecnologia ottica, magnetica o induttiva. Poiché la maggior parte dei sensori di posizione hanno una forma costruttiva che dispone di un piccolo albero di ingresso, questo ha comportato un problema nell’integrazione dei motori torque.
La prima opzione è di impiegare un encoder ottico, con alimentazione DC e uscita digitale assoluta o incrementale. Non sono adatti per ambienti con polveri o con liquidi, che comprometterebbero la generazione corretta dei segnali. Inoltre le tolleranze molto ristrette, gamma di temperatura di impiego ristretta, forte sensibilità a shock ne limitano l’impiego. Gli encoder capacitivi possono superare queste problematiche ma le possibili scariche elettrostatiche diventano un limite. Gli encoder magnetici hanno una precisione bassa a causa dell’isteresi magnetica e sono inoltre molto sensibili ai campi magnetici generati dal motore. La più tradizionale soluzione rimane l’impiego di resolver che danno una forte affidabilità e sicurezza applicativa, soprattutto in ambito aerospaziale e della difesa. Tuttavia sono molto ingombranti, pesanti e costosi, soprattutto quando dispongono di fori passanti superiori a 50 mm.
Un nuovo approccio
Una nuova tipologia di sensore di posizione viene sempre più impiegata come feedback dei motori torque, si tratti di sensori induttivi o incOders. Usano lo stesso principio elettromagnetico o induttivo dei resolver, ma invece degli avvolgimenti di trasformazione ingombranti, utilizzano circuiti stampati laminati, quindi meno costosi, più compatti e più leggeri. Invece dei complessi circuiti di alimentazione e elaborazione di segnali AC richiesti dai resolver, gli incOders utilizzano semplici interfacce elettriche simili a quelle impiegate dagli encoder ottici, alimentazione in DC e uscita digitale.
Gli incOders sono disponibili in formati assoluti o incrementali, segnali A e B, con risoluzioni fino a 22 bit, circa 4 milioni di conteggi per giro. Accuratezza inferiore a 40 arc-secondi, ovvero 0,01 ° e coefficiente di dilatazione termica molto bassa, inferiore a 0,5 ppm/K. Sono state migliorate le prestazioni dinamiche grazie alla possibilità di raggiungere velocità di rinfresco di 10 KHz. Anche costruttivamente sono l’ideale applicativo con un diametro largo, un profilo molto basso, un grande foro passante. Possono essere fissati meccanicamente al motore diretto senza ulteriori parti meccaniche come cuscinetti o guarnizioni o giunti.
La combinazione di incOders e motori torque è sempre più preferita da molti integratori, i risultati ottenuti confermano che permettono di controllare i posizionamenti in modo altamente affidabile, dinamico e preciso anche per sistemi in ambiente medicale, aerospaziale, industriale e petrolchimico.
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anche a nostri Partner commerciali opportunamente selezionati che operano nella
nazione di pertinenza del richiedente e che offrono un livello di sicurezza del
dato ritenuto “adeguato”, il tutto al fine di offrire al richiedente un più
efficiente servizio.
I Dati verranno, inoltre,
trattati da risorse interne di Servotecnica SpA, adeguatamente
istruite, che operano in qualità di personale autorizzato al trattamento dei
Dati.
L’accesso ai Dati archiviati
potrà essere effettuato solo dalle pubbliche autorità, nei casi e modalità
previsti dalle leggi vigenti, in ipotesi di controversie giudiziarie.
I Vs. Dati personali non saranno soggetti a
diffusione.
Quali sono i Vs. diritti?
In qualsiasi momento, avrete il diritto di chiedere:
l’accesso ai Vs. dati personali;
la loro rettifica in caso di
inesattezza degli stessi;
la cancellazione;
la limitazione del
loro trattamento.
Avrete inoltre:
il diritto di opporVi al loro
trattamento a meno che non siano trattati per il perseguimento di un
legittimo interesse cogente di Servotecnica SpA;
il diritto alla
loro portabilità, ossia di ricevere in un formato strutturato, di uso
comune e leggibile da dispositivo automatico i dati personali da Voi forniti.
Noi prenderemo in carico la Vostra richiesta con il
massimo impegno per garantire l’effettivo esercizio dei Vs.diritti.
Infine, avrete il diritto di proporre reclamo
all’Autorità di controllo nazionale (Garante Privacy).
Per completezza di conoscenza di tutti i dirittti
dell’interessato fare riferimento al Capo III del GDPR.
Potete revocare il Vs. consenso una volta dato?
Si, potrete revocare, in qualsiasi momento, il Vs. consenso, senza che
ciò possa, tuttavia:
pregiudicare la liceità del trattamento basato
sul consenso prestato prima della revoca;
pregiudicare ulteriori trattamenti
degli stessi dati fondati su altre basi giuridiche (ad esempio, obblighi
contrattuali o obblighi di legge cui è soggetta Servotecnica SpA).
Gli estremi identificativi del Titolare per il
trattamento dei dati da Lei forniti sono i seguenti:
Servotecnica
SpAcon
sede in Nova Milanese (MB), via E. Majorana, 4 tel. 0362.4921 alla quale Lei
potrà in ogni momento rivolgersi per esercitare i diritti previsti dal GDPR e
sopra elencati in dettaglio.
Il Titolare del Trattamento
Servotecnica SpA
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